Come accade a tutti i poeti, non ci si accorgerebbe di quelli contemporanei se non li rendesse noti la morte. Anticipata, normalmente, da indigenza, casa fatiscente (abusiva) e ictus, al quale tutti cominciano ad urlare Legge Bacchelli, Legge Bacchelli! E come tutti gli intellettuali italiani, non ci si accorgerebbe che parlano di aviazione se non gli si sfogliassero a caso le opere. Valentino Zeichen – che è morto – scrive di aeronautica e di guerra con quella familiarità e quell’entusiasmo che in genere infastidisce la cultura ufficiale di un Paese che le guerre non ha mai denunciato di farle, gli sono sempre capitate un po’ per caso, ah.
Benché poi tutto romano, Zeichen nasce e trascorre i primi anni in una Fiume sorvolata dai B-17 in missione verso l’Austria (in FIUME 1944, p. 418, a “quote regali” in INFANZIA, p. 225). Non affronta l’aereo con leggerezza, ma sempre con proprietà scientifica
Dalle figurine copiammo in segreto / i progressi dell’aviazione nel secondo conflitto mondiale / e progettammo un velivolo dall’inedita linea aerofallica / battezzandolo ereticamente Vulcan. / Era un caccia strategico con ali a delta, / volava a basse quote tra le file dei banchi / sfuggendo all’intercettazione oculare / ed acustica della maestra. (1)
Il lavoro di Zeichen manifesta un’approfondita conoscenza non solo sul corto respiro, ma anche funzionale, tanto da spiegare meglio di molti tecnici meccanismi operativi, come per esempio la SIGINT
Da secoli i guardiamarina / tengono puntati i binocoli / sul passaggio dello stretto. / Ingigantita dalle lenti, / lo attraversa una squadra / d’incrociatori sovietici / della classe “Kirov”: / osservano il silenzio radar / per non lasciare impronte / nelle memorie di quelli inglesi. (2)
Se la guerra – come le donne e Roma, sempre, ma anche la Borsa, per esempio, nelle opere più recenti – è una costante, in profondità si muovono certe nitide ossessioni. Gibilterra, per esempio. L’altra è il radar (3), frequente occorrenza come il ghiaccio della Plath o l’aveugle di Eluard. Che l’Italia fosse stata all’avanguardia nello sfruttamento dei “raggi elettrici” e che nella Seconda Guerra Mondiale si procedesse ancora a vista è per Zeichen assolutamente intollerabile. Individua il problema in una differenza filosofica che ricorre spesso nei suo versi, quella che vede confrontarsi l’idealismo un po’ magico tedesco e il retorico umanesimo italiano con il neopositivismo anglosassone (4). Si scaglia con violenza contro questa cecità in una delle opere di Piccola Pinacoteca dedicata ad uno dei capolavori di una tardissima aeropittura, “INCUNEANDOSI NELL’ABITATO”, 1939, DI TULLIO CRALI che conlude
L’aereo in picchiata / si incunea fra assonometrici / grattacieli di N.N. / L’arretrata tecnica fascista / non allarma gli invisibili nemici, / avendo essa per scienza / solo la gonfia retorica, / e non il veggente radar. (p. 304)
Un MB339 PAN a Valle Giulia – probabilmente l’aviogetto che più si è avvicinato a Villalisorci, ultima e adeguata residenza di Zeichen il cui legame con Villa Borghese era fortissimo – sotto le ali del quale chiacchierano gli specialisti dell’AMI
Zeichen butta lì con disinvoltura valutazioni tecniche di lucidità esemplare. POLVERE DI FUTURISMO è una sinossi dell’orientamento e del germe del fallimento della Regia Aeronautica, quella degli effimeri successi di Balbo
Fra un ragtime e l’altro / i falconieri angloamericani / estraevano dalla voliera / volatili rapaci da caccia, / ne ripiegavano i carrelli retrattili / dentro le panciute fusoliere / tenendo in considerazione / il decoro dell’aerodinamica. / Mentre Italo Balbo giocava / coi lenti, pigri idrovolanti, / specie di cassoni ingombranti; / aerei pompieri, appena buoni / per domare gli incendi / o fungere da guardia costiera. / Quell’incendiario Narciso / ammarava negli specchi / degli idroscali d’Italia / per ingigantire il riflesso. / Le appariscenti trasvolate / dal dispendioso spreco / furono la speciale idiozia / d’una tecnica obsoleta / che generò il mostro anfibio, / non del tutto inutile, poiché / ridivenne valore in lire / sui francobolli celebrativi. (p. 498)
Altro punto fondamentale di quegli anni l’aviazione navale, che coglie sia nella lungimiranza di YAMAMOTO (p. 217) che nel criminale difetto dei vertici militari italiani. Non risparmia infatti la Regia Marina con le sue “torte galleggianti da parata per la vista dei golosi gerarchi” (TRATTATO DI VERSAILLES, p. 214), mentre celebra l’eroismo sportivo degli incursori a lenta corsa (p. 222).
Una precisione tale quella di Zeichen che rimprovera l’indebita appropriazione di cui si rese responsabile Mimmo Paladino intitolando Cacciatore di Stelle una sua interpretazione del Piaggio P180 esposto nella Galleria Vittorio Emanuele II a Milano nel 2011. Ovviamente per il poeta di Starfighter ce n’è uno solo:
Forse il “Pennello” ignora / che il caccia F104 Starfighter / già volava nel millenovecentosessanta / lungo la Cortina di Ferro, / durante la Guerra Fredda; / inseguiva le Stelle Rosse / in coda ai MIG sovietici. / L’F104 sfiorava la velocità di Mach 2,4. / In accelerazione di gravità / i piloti svenivano dopo il decollo / incontrando la “visione nera”. / In Germania godeva fama / di “fabbrica di vedove” / anche di “bara volante”. / Complimenti all’artista. (5)
Se prevale l’interesse per la Seconda Guerra Mondiale, Zeichen è attento anche al contemporaneo. In ARTE BELLICO-MIMETICA (p. 420) mostra di non poter resistere a quell’opposizione vero/falso incarnata dai decoy che, realizzati dalla MVM di Torino, vennero utilizzati dagli irakeni durante la guerra del Golfo per ingannare i piloti della Coalizione.
Accanto ad un discorso narrativo diretto non poteva mancare quello allusivo. Soprattutto nell’amore, guerra e aviazione offrono un repertorio che Zeichen sfrutta con ironia. Dopo una serie di manovre acrobatiche con le quali lei lo scoraggia dall’inseguirla, AVIAZIONE (p. 40) si conclude con
Compresi quindi che stava col BARONE ROSSO / e che non sarebbe più tornata in BARACCA.
Dresda diventa così espressione di una distruzione interiore, mentre l’aviazione si espande a rappresentare l’arte più nobile, la poesia stessa, macchina a volte in stallo dalla quale il pilota riesce a salvarsi soltanto eiettandosi. (6)
La poesia di Zeichen non è repulsiva, né oscura, né sperimentale, DICE VERAMENTE LE COSE. E’ un aristocratico mondano – e tanto – che non se la tira. E’ portarsi il caffè al tavolino e sedersi giusto un momento per leggere un pezzo di cronaca di Roma sul Messaggero. Solo più sorprendente, intenso, circostanziato e con tutto quel delizioso gusto di un abile spreco da sé e di una sottovalutazione dagli altri.
(1) SPAURACCHIO, p 46.
(2) GIBILTERRA, p. 203. L’esattezza dovuta alle Classi sovietiche/russe ricorre anche in DA ZOO GEOPOLITICA, p. 379.
(3) Anche in AI MITOMANI, p. 189.
(4) Soprattutto in BATTAGLIA D’INGHILTERRA, p. 206.
(5) IL P180 E L’F104, p. 468. La visione nera ricorre anche in ANALOGIE TRA IL CINEMA E UN QUADRO DI ANSELM KIEFER – “STERNEN FALL”, II, p. 441.
(6) I PERICOLI DEL VOLO, p. 389.
(testo e foto di Enrico Azzini, grazie a Silvia Mattioli per la sua copia di POESIE 1963 – 2014, Mondadori, Milano 2014)